Anna Franzò
Boutique House
La Boutique House Anna Franzò è un aparthotel in pieno centro ad Ispica
La struttura, a due passi dalla Basilica di Santa Maria Maggiore ed il suo imponente loggiato, offre appartamenti con angolo cottura e bagno privato ricavati dalla sapiente ristrutturazione di un palazzo signorile dei primi 900.La boutique house di nuova realizzazione dispone di reception, sala multimediale, 7 Suites, 1 attico con terrazza solarium ad uso esclusivo con vascha idromassaggio esterna (jacuzzi).
Presenta sette luxury suite, ognuna con il nome di una splendida località turistica siciliana, di cui 6 quadruple e 1 matrimoniale (per 26 posti letto totali), suddivise nelle seguenti tipologie:
N° 1 - Camera Deluxe ( Taormina)
camera di 35 mq con letto matrimoniale, angolo cottura e bagno privato con doccia
N° 1 - Camera Deluxe “Relax” ( Siracusa)
camera di 35 mq con letto matrimoniale, divano-letto matrimoniale, angolo cottura e bagno privato terrazza attrezzata con gazebo.
N° 2 – Camera Deluxe “ Relax” (Etna) - (Agrigento)
Camera di 40 mq con camera da letto matrimoniale , cucina -soggiorno con divano letto matrimoniale, bagno privato e terrazza attrezzata con gazebo.
N° 2 - Camera Superior (Modica) - ( Noto)
camera di 40 mq con letto matrimoniale, divano-letto matrimoniale, soggiorno con angolo cottura, e bagno privato con doccia
N° 1 - Camera Superior (Scicli)
camera di 35 mq con letto matrimoniale, divano-letto matrimoniale, soggiorno con angolo cottura, e bagno privato
Per apprezzare al meglio la signorilità del palazzo vi presentiamo Anna Franzò e vi raccontiamo la sua storia
La struttura nasce dalla sapiente ristrutturazione della dimora storica della signora Anna Franzò.
Per descrivere la figura di Anna Franzò torniamo indietro all'estate del 1943, anno dello sbarco alleato sulle coste ispicesi, e raccontiamo la storia di Aurelio.
Lasciata la zona costiera l’esercito degli alleati continuò la sua avanzata verso l’interno. Il primo paese lungo il percorso era Ispica.
L’immane colonna di uomini e mezzi, formata da Inglesi e Canadesi, si portava dietro uno sparuto drappello di soldati prigionieri italiani che si erano subito arresi alla improvvisa comparsa di un nemico tanto inatteso quanto spropositato.
Allora non era possibile avere per tempo notizie di questi movimenti; pertanto, pochi giorni prima, gli Ispicesi, terrorizzati dalle incursioni aeree che avevano devastato molti edifici e case provocando la morte di alcuni civili, si erano rifugiati in massa, ritenendole più sicure, nelle grotte della Cava, ad appena un chilometro dall’abitato.
Vale la pena fare un cenno alla Cava d’Ispica.
E’ una gola, una valle profonda lunga almeno 13 chilometri. Si snoda da Ispica a Modica , scavata nei millenni dal fiume Ispa.
Tutto il territorio di questa estrema punta della Sicilia è caratterizzato da solcature simili. Famosa la Cava Grande di Avola nata dal fiume Cassibile, la Cava di Pantalica, la Cava dell’Irminio nei pressi di Ragusa Ibla.
In queste Cave, lungo il corso dei fiumi che favorivano i commerci, si stratificarono tutte le civiltà dell’Isola: dai Trogloditi dell’età della pietra ai Siculi, dai Greci ai Romani e poi Bizantini, Arabi, Normanni, fino agli Spagnoli, tra le ultime dominazioni.
La Cava d’ Ispica conserva ancora oggi i resti di questi innumerevoli passaggi. E’ uno scrigno sepolto, da cui affiorano, punteggiando tutto il lungo tragitto, abitazioni rupestri, necropoli greche, strutture romane, chiesette bizantine, absidi affrescate di IV-V secolo, interi caseggiati a più piani scavati nella roccia, fortilizi, ruderi di palazzi marchionali.
Allora, nel luglio del ’43, la paura del nemico dunque, fece si che gli abitanti tutti tornassero nei luoghi da cui i loro antenati erano stati cacciati dal terribile terremoto della fine del ‘600.
Le abitazioni da allora si erano talmente deteriorate da lasciare il posto alle preesistenti ampie grotte, suddivise in vari ambienti. Molte erano state riadattate a stalle per gli animali domestici, magazzini, palmenti, oleifici.
Per giorni colonne di cittadini scesero alla Cava a piedi, con i carretti, con le prime macchine d’epoca, carichi di masserizie, di alimenti, di galline, conigli, oche: la Cava rinacque!
Donne , ragazzini, anziani animarono quel luogo abbandonato da tre secoli. Le loro voci si rincorrevano lungo la immensa gola.
Vissero giorni particolari. La tragedia della guerra li unì come mai prima.
Le difficoltà ambientali, il problema degli approvvigionamenti , le necessità comuni, fecero scattare un bisogno di mutuo soccorso , ma anche di allegria, di gioco, di scherzo intanto che la guerra infuriava intorno a loro .
Gli aerei nemici solcavano il cielo e continuavano a sganciare bombe sul vicino paese. I combattimenti aerei si susseguivano sotto i loro occhi, sopra le loro teste.
Ma i bambini giocavano. Sempre i bambini riescono a giocare. Si tuffavano nei laghetti che il fiume formava lungo il suo corso, ranocchie e granchi erano purtroppo le prede preferite. Raccoglievano bacche, fiori, frutti in quella specie di Eden che come una bolla li proteggeva dai nemici.
Giovinette e giovinetti si riunivano, si appartavano, amoreggiavano.
Quell’estate del ’43 purtroppo costrinse anche i Franzò alle grotte di Cava d’Ispica.
Aurelio allora era poco più che quindicenne.
E proprio in quell’estate del ’43 anch’egli si era rifugiato alla Cava con tutti i parenti.
Vicina di grotta era la famiglia Franzò, del Prof Pietro, latinista di pregio, già insegnante del Liceo Visconti di Roma, cofondatore del Liceo Virgilio.
Ogni estate il Professore tornava al paese natio, alla chiusura della scuola, con la moglie Maddalena Vaccaro e le due figlie, Anna e Franza.
Si ritrovavano tutte le estati ormai da diversi anni.
Si riunivano spesso nella grande casa che il Professore si era fatta edificare in contrada Cugni all’uscita del paese verso il mare. Circondata da un giardino altrettanto grande , un piccolo parco di delizie, doveva ospitare, quale Novella Arcadia , la intellighenzia del paese. I frequentatori erano invitati a poetare, a scrivere, a declamare, a improvvisare rappresentazioni teatrali. Un vero e proprio cenacolo letterario dove ciascuno potesse apportare il suo contributo di conoscenza.
Anna spiccava tra tutte le altre ragazze non solo per il suo imponente aspetto fisico, ma anche per la sua cultura, l’intelligenza fuori dal comune, la brillantezza.
Purtroppo era altrettanto balzana, scostante e sprezzante. Non aveva pietà per chiunque non si mostrasse all’altezza di Sua Maestà Imperiale! Ben presto si alienò le simpatie dei maschi, la complicità delle femmine.
Fu isolata con altrettanta mancanza di pietà, additata come pazza … Anna Franzò, la pazza! Non c’è peggior nemico di una piccola comunità quando un soggetto le si mette contro.
Lei osò sfidarne la mentalità, osò essere ribelle, emancipata, femminista. Ne pagò enormemente il prezzo.
Aurelio, con i suoi freschi 15 anni, rientrava nelle sue simpatie.
Guardava con tenerezza questo giovinetto che la sorprendeva con le sue molte iniziative, con le sue invenzioni e che soprattutto non la giudicava. Come da ragazzino, Aurelio continuava a intrattenere tutti con mille idee. Ogni oggetto, pietra, legnetto lo ispiravano nel costruire qualunque marchingegno.
Purtroppo fu terribilmente attirato anche da reliquati bellici di cui i bombardamenti dei giorni precedenti avevano cosparso il territorio: schegge di proiettili, cartucciere vuote , bombe esplose, ma anche inesplose – micidiali armi di guerra anche allora -.
Di queste ultime, raccontano, Aurelio ne raccolse una che lo calamitò all’istante. Era a forma di imbuto, di metallo lucido. Con un seghetto si accinse a manipolare la parte cilindrica finale. Ne avrebbe ricavato anellini di varie misure da donare alle ragazze.
Un boato! Un grido disperato! La mano sinistra disintegrata, l’avambraccio in frantumi !
Al fragore della esplosione accorse una moltitudine di gente urlante; in un baleno il giovane fu accerchiato da centinaia di persone; si disperavano, chiedevano soccorso ma non sapevano prendere una iniziativa. Gli toglievano solo l’aria.
In quel trambusto allucinante nessuno si accorse che era sopraggiunto l’esercito degli Alleati.
Avanzava con fragore di armi e automezzi velocemente dalla Barrera, una strada tutta curve , tutta tornanti che si insinuava nella Cava.
Sì, proprio dalla Cava stava raggiungendo il paese!
La scena si presentò tragica. Parte della popolazione era inorridita alla vista del ragazzino dilaniato dalla bomba, parte era terrorizzata dal materializzarsi di quella massa di militari armati fino ai denti, dalle camionette, dai carri armati.
Urla di dolore, urla di terrore da tutte le parti e clamore di eserciti che la Cava amplificava, decuplicandone l’intensità.
Come Atena, dea della guerra, come Furia , ergendosi quasi fisicamente su quel mucchio di uomini e donne, in mezzo a quello scompiglio generale , ecco avanzare, Anna Franzò!
Si precipita, scansando a calci e spintoni chiunque le ostruisca il passaggio, sul povero esausto Aurelio e, strappando un orlo della sua veste, gli lega, con tutta la forza di cui dispone, il braccio, fermando la maledetta emorragia che lo dissanguava.
Poi con lo stesso impeto, sprezzante del pericolo, si avvia, da sola, contro il nemico e chiede a gran voce, nella lingua dello straniero;
“I must talk to your Commander! There is a young man badly injured. I need an immediate help!”
Improvvisamente il silenzio!
Da una parte il popolo di Ispica, dall’altra l’immensa divisione nemica, in mezzo, Anna Franzò!
Attimi che sembrarono un’eternità. Poi il Comandante canadese, scese dalla Jeep e, come incantesimato, seguì Anna, tra due ali di folla, che si aprirono all’istante come le acque del Mar Rosso.
Aurelio nel frattempo era svenuto. Il Comandante, fatte prestare le prime medicazioni e fasciature, tuttavia non poteva mettere a disposizione nessun automezzo, non poteva inoltrarsi nel territorio nemico per raggiungere il più vicino posto di Pronto Soccorso a Modica.
Fu ancora Anna, incapace di arrendersi, indomita, che si lanciò correndo verso un cavallo che, mite e tranquillo, stava consumando il suo pasto nei pressi. Era un bellissimo cavallino arabo, già sellato. Anna gli saltò in groppa, si fermò a un passo da Aurelio e ordinò a un uomo nella folla di legargli il giovane alla schiena.
Se ne partì galoppando furiosamente alla volta di Modica!
Annita Garibaldi, nei racconti che si fanno di lei, guerrigliera, ardita nell’incitare la truppa all’attacco, pietosa con i feriti, affranta per i morti, raffigurata, arma in pugno, elevata in cielo da un cavallo rampante, in una celebre statua di bronzo sul Gianicolo , non avrebbe fatto meglio di Anna Franzò di Ispica.
Aurelio fu salvo!